Crac Silicon Valley Bank, crollano le Borse. Bisogna preoccuparsi?
Tre istituti Usa fanno crac, Borse in rosso. Tonfo delle banche: può succedere che altre banche americane o europee crollino? di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Può succedere alle altre banche americane o anche alle europee quello che si è appena visto capitare a tre banche americane, Silicon Valley Bank, Signature Banke una terza dedicata però solo alle criptovalute? Silicon Valley Bank, Signature Bank avevano circa 330 miliardi a bilancio per cui si tratta del fallimento più importante dal 2008 ed è arrivato nel giro di pochi a giorni. Ci sono delle caratteristiche particolari di queste due banche, cioè il fatto che avevano più che altro conti di aziende e non di cittadini, ma c’è anche un problema di fondo.
Le difficoltà del sistema bancario
Il problema di fondo è che tutte le banche occidentali hanno comprato centinaia di miliardi di bond, sia titoli di stato che mutui cartolarizzati, quando i tassi erano intorno all’ 1% circa (e in eurozona anche 0%) e ora che sono bruscamente risaliti al 3% o anche al 5% in America, se li vendessero perderebbero anche un 20% in media.
Questa non è un’ipotesi, è il calcolo che la FDIC stessa americana, l’autorità che regola le banche, ha pubblicato questo mese. Come si vede si parla di più di 600 miliardi di perdite oggi nei loro portafogli di titoli.
Nel caso di questa banca, la SVB, di cui tutti parlano perché in tre giorni è fallita, aveva comprato 91 mld di bonds di mutui cartolarizzati a 10 o 20 anni quando rendevano intorno a 1,7%. Ma con i tassi su questi bonds dei mutui ora schizzati al 6 o 7%, i prezzi di questi bond cartolarizzati sono crollati, per cui la banca perdeva 15 mld su 91 mld investiti. Se però li teneva fino alla scadenza non succedeva niente e la Banca SVB aveva riclassificato nel bilancio questi titoli come “da tenere fino alla scadenza”. Questa classificazione, che tutte le banche del mondo, anche Unicredit o Intesa adottano, consente di non segnare a bilancio la perdita dovuta ad una oscillazione del mercato. Perché appunto dici “li teniamo fino alla scadenza, non li vendiamo, e alla scadenza li rimborsano alla pari per cui non dobbiamo ora segnare una perdita che poi non si realizzerà”. Ok. tutto molto logico e lo fanno da quando i tassi di interesse salgono tutte le banche.
Cosa è successo alla Silicon Valley Bank
Come è successo esattamente allora che martedì scorso era tutto normale e venerdì il governo l’ha chiusa? Qualche cliente importante di Silicon Valley ha chiesto indietro soldi perché nel settore high tech, come si sa, le cose ora non vanno tanto bene e ne aveva bisogno. La banca per ridargli i soldi ha dovuto allora vendere qualche miliardo di questi titoli cartolarizzati, che non avrebbe voluto vendere e ha di conseguenza mostrato una perdita di 1,8 miliardi. A questo punto tutti si sono svegliati, hanno visto che la SVB doveva fare un aumento di capitale per coprire la perdita e altre aziende hanno chiesto di togliere i soldi. La povera banca SVB ha dovuto vendere allora altri titoli e mostrare altre perdite, e nel giro di tre giorni è arrivata una valanga di richieste di trasferimento altrove dei soldi, venerdì pomeriggio quasi un terzo dei depositanti usando il banking online da ogni angolo della California li ha tolti… e paf! … venerdì il governo l’ha presa in carico.
Un problema simile in teoria esiste per tante altre banche al mondo, perché negli anni dei tassi di interesse a zero, hanno comprato titoli che valevano sempre di più, ma ovviamente quando un titolo a reddito fisso aumenta di prezzo il suo rendimento cala. Di conseguenza i portafogli delle banche (ma anche dei fondi, delle assicurazioni e delle Banche Centrali stesse) sono ora pieni zeppi di titoli emessi a 100 che loro hanno comprato a 120 o 130 o 140 quando i rendimenti erano molto molto bassi.
Da quando però le Banche centrali stanno bruscamente alzando i tassi di interesse, i titoli calano continuamente di prezzo, sia quelli di nuova emissione che quelli già emessi per cui chi li ha in portafoglio se li vendesse ora ha perdite molto grosse. La soluzione è non venderli, tenerli fino alla scadenza quando vengono rimborsati alla pari.
C’è un rischio di contagio?
C’è qualcosa che può costringere allora le banche a vendere i bond in portafoglio, scesi di valore, prima della scadenza? Questo qualcosa sono i correntisti che tolgono i soldi dai conti correnti, come si è visto nel caso della Banca di Silicon Valley, SVB.
Ma in generale, sia in America che in Europa, chi ha i soldi li tiene ancora sui conti correnti che non rendono quasi niente quando invece ora i titoli di stato cominciano a rendere.
In America i titoli di stato a scadenza un anno e i fondi monetario che vi investono 4,5% ad esempio mentre le banche pagano solo uno 0.5%.
In Europa allora come andrà ?
Le banche europee, specie italiane e spagnole, ma anche francesi, sono piene di titoli di stato comprati tra il 2014 e 2020 con il famoso “QE” di Draghi, a tassi quasi zero. Ora i loro prezzi sono scesi anche del 25%, vedi qui i BTP a dieci anni. Per fare l’esempio del BTP, a 140 o 150 nel 2020-2021 oggi sono crollati a 115 .
In teoria, quindi, sarebbero in perdita per decine di miliardi, ma bisogna ripeterlo perché sia chiaro, solo se li vendono prima della scadenza.
La Bce non lo ha calcolato per ora, come ha fatto la FDIC in Usa nel grafico mostrato sopra, ma le banche in Europa hanno perdite di centinaia di miliardi sui titoli di stato comprati con Draghi.
Al momento, su 400 miliardi circa di Btp (con scadenze da cinque a venti anni) comprati seguendo Draghi e la sua politica di “QE” dal 2014 (e usando finanziamenti “LTRO) della Bce, le banche italiane avrebbero forse 20, forse anche 40 miliardi di perdite ai valori di mercato. Ma non devono mostrarle nel bilancio perché hanno classificato i Btp comprati in grande maggioranza come “da tenere fino alla scadenza”. Spieghiamo questo trucco contabile.
A differenza delle aziende e dei fondi, le banche possono classificare i titoli comprati in due modi: come “Disponibili alla Vendita” (Available For Sale), o come “Da Tenere Fino Alla Scadenza” (“Hold To Maturity” o “HTM”)
Se guardi il grafico precedente, mostra come in America circa metà sono classificati “Da Tenere Fino Alla Scadenza”. Se li classificano come “Da Tenere Fino Alla Scadenza” le regole contabili fanno sì che le perdite non appaiano a bilancio. Perchè la banca dice “ehi… fra sette anni me li rimborsano alla pari, comprati a 100 e rimborsati a 100 anche se adesso valgono 80 sul mercato. Io non li vendo, perchè dovo segnare una perdita ora che poi non si realizza ?”
Se li classificano invece come “Disponibili alla Vendita” la variazione negativa del valore di mercato compare.. In quel caso le Banche di solito vendono “short” tramite derivati i titoli di stato, in modo che se scendono guadagnano sui derivati e compensano la perdita di portafoglio. Cosa hanno fatto esattamente Unicredit o Banca Intesa per proteggere il loro portafoglio di BTP ? Qui occorrerebbe un altro articolo in cui analizzi i loro bilanci e parliamo quindi per ora solo in generale.
Se la Bce aumenta ancora i tassi può esserci una catena di conseguenze che forzi le banche a vendere parte di questi titoli prima della scadenza, anche se sono stati classificati come “Da Tenere Fino Alla Scadenza”. In Italia ci sono 1,900 miliardi che gli italiani hanno in conti correnti che pagano 0,1%. Quando Bot e Btp a scadenza inferiore ad un anno, quindi molto sicuri, pagheranno un 3%, i correntisti si potrebbero svegliare e potrebbero cominciare a togliere 300 o 400 mld (su 1,900 miliardi) dai conti correnti e spostarli in Bot o Btp cher scadono entro un anno. Le banche in questa situazione sarebbero costrette, per poter fare i bonifici, prima a usare il cash che hanno all’attivo di bilancio e poi però a vendere qualche investimento e cioè i Btp a scadenza cinque o dieci o quindici anni) che hanno comprato con il Qe di Draghi quando rendevano 2%
Il problema è che i BTP a dieci anni valevano 140 ma oggi quotano 115.
Il motivo quindi per cui oggi si vedono tutte le banche in Europa perdere un 7% di media in borsa è che il mondo finanziario si chiede cosa succederà se i correntisti si stufano di ricevere 0,1% sul conto corrente e spostano i soldi su Bot o BTP a scadenza un anno (poco rischiosi).
I tassi di interesse e l’inflazione
Le Banche Centrali e lo Stato possono intervenire ovviamente, ma alla fine dovrebbero smettere di alzare i tassi di interesse perché ovviamente tutto questo problema esiste perché stanno alzando i tassi di interesse dopo averli tenuti a zero per anni.
Oppure le banche dovrebbero offrire di più sui conti correnti, non 0,1% ma 2% ad esempio in Europa. Se però la Bce, ad esempio, portasse i tassi di interesse al 3,5% i Btp ad un anno renderebbero magari un 4,5% e le banche dovrebbero offrire di più. In questo modo ovviamente le banche perdono l’utile che ora stanno facendo.
Se l’inflazione continua, i governi e le Banche Centrali si ritrovano per forza di cose quindi a scegliere tra la strada dell’inflazione e la crisi delle banche. La loro priorità, come nel 2008, è sempre stata che non possono far fallire le banche o anche metterle in difficoltà in modo che poi riducono di colpo il credito. Questa volta però c’è inflazione alta a differenza del 2008, per cui forse non sarà facile.
Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, 13 marzo 2023